L’apologia di Socrate è un testo di Platone che
riporta gli atti del processo intentato dalle autorità ateniesi al filosofo
Socrate, accusato di non riconoscere gli dei della città, di introdurne di
nuovi e di corrompere i giovani. La prima accusa formulata è quella di empietà,
dato che Socrate investigava su cose divine, rifiutando la tradizione
mitologica. Socrate ammette di essersene interessato ma di essersi distaccato
in quanto non gli davano la sapienza necessaria. Con ciò attacca i sofisti, rei
di farsi pagare per l’insegnamento di una falsa sapienza. All’accusa di
corrompere i giovani Socrate ribatte asserendo che è impossibile il fatto che
la maggioranza delle persone sappia cosa sia giusto fare e cosa non fare.
Inoltre, se egli insegnasse il male, nessuno lo seguirebbe, oppure se lo
facesse, ciò sarebbe fatto in maniera inconsapevole e secondo le leggi ateniesi
chi sbaglia senza saperlo non va processato ma istruito.Infine all’accusa di
non credere agli dei ma di introdurne di nuovi (cioè il daimon socratico),
Socrate risponde che ciò non è possibile ed è contraddittorio. Socrate è
condannato a morte ed egli stesso rifiuta l’opportunità di fuggire per avere
salva la vita: così sarà ricordato come martire e come colui che si è adoperato
per conseguire la virtù.
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