FILOSOFIA LATINA

Gli intellettuali latini erano poco inclini alla speculazione pura e prediligevano la vita pratica e l’eclettismo. Per quest’ultimo fattore si realizzò una compenetrazione del pensiero greco con la cultura romana. Con la conquista della Magna Grecia nel II° secolo a.C. la cultura greca iniziò a diffondersi nel mondo romano. L’intellighentia romana però non vide favorevolmente tale assimilazione perché le sottigliezze della dialettica potevano minare le fondamenta dell’ordine costituito. Ad esempio suscitò scalpore l’intervento del filosofo Carneade nel 155 a.C. che in due conferenze dimostrò l’esistenza e al tempo stesso la negazione della giustizia. L’assimilazione della cultura greca fu favorita dal circolo degli Scipioni presieduto da Scipione Emiliano (185 a.C. – 129 a.C.) che era costituito da storici, filosofi e letterati. Costoro erano affascinati dalla cultura greca, senza rinunciare a nobilitare i valori che erano fondamento della cultura romana. In particolare essi propugnavano una fusione tra gli ideali della perfezione e armonia delle doti umane della civiltà greca con i valori tradizionali dell’aristocrazia romana. Di ciò, in particolare, ne fu protagonista Catone il Censore (234 a.C. – 149 a.C.), che difese strenuamente la virtus della cultura latina. Egli si scagliava contro l’individualismo filoellenico, connotato da una raffinatezza estetizzante disgregatrice della saldezza morale e politica del civis romanus. Al contrario la nuova classe dirigente romana si era resa conto che in una politica romana che coinvolgeva anche tutti i Paesi del Mediterraneo, occorrevano principi culturali e politici più flessibili e adattabili alle istanze delle nuove generazioni piuttosto che la rigidità del ‘mos maiorum’. Il poeta Lucrezio (98 ca a.C. – 55 ca a.C.) cercò per primo di diffondere a Roma il pensiero epicureo, peraltro già conosciuto e considerato licenzioso. Lucrezio non ebbe successo poiché gli intellettuali aristocratici vedevano in quella filosofia una fuga dall’impegno politico determinato dalla crisi della repubblica romana. Cicerone stesso condannò l’epicureismo poiché politicamente pericoloso, dal momento che sostenenza la convenzionalità delle leggi dello Stato, negava la religione tradizionale e sostituiva all’impegno del cittadino nella politica, considerata fonte di infelicità, il rapporto di amicizia. Marco Tullio Cicerone (Arpino n106 a.C. – Formia 43 a.C) diede impulso alla diffusione della filosofia greca in Roma traducendo e scrivendo in latino opere alla base della filosofia romana. Prima di tutto Cicerone si accostò allo stoicismo, diverso da quello dei suoi primi fondatori. Lo stoicismo era stato introdotto da Panezio di Rodi (185 a.C. -100 a.C.), che ne aveva attenuato il rigore, introducendo aspetti della filosofia platonica ed aristotelica. L’esigenza stoica di vivere secondo natura era stata modificata nel vivere secondo le attitudini dateci dalla stessa natura, per cui il saggio si realizza moralmente partecipando al governo dello stato come membro di una più ampia comunità organizzata razionalmente nella vita sociale e politica. Cicerone poi, seguendo il filosofo Filone di Larissa che sosteneva una commistione di temi platonici, aristotelici e stoici, attenuò il credo dello scetticismo, accusato di affermare che i sensi ingannano rendendo impossibile la conoscenza, senza tuttavia considerare, come riteneva Cicerone, che la verità si può raggiungere con il retto uso della ragione. Riguardo al pensiero politico, Cicerone sosteneva che lo Stato si regge sulla legge che trova il suo fondamento in una legalità naturale e in questo ordine legale-razionale spetta a ciascuno di assolvere il suo compito nell’ambito del proprio ruolo sociale. Per Cicerone il cittadino deve contribuire, secondo la sua appartenenza ad un ceto, ad instaurare la “iustitia” e la “concordia”. Lo Stato ideale deve avere una costituzione mista dove è presente il consolato, il senato aristocratico e i comizi popolari. Con l’avvento di Augusto e dell’Impero la filosofia si distaccò sempre più dalla politica e si legò a temi individualistici come l’etica e l’arte del vivere. In un primo momento l’epicureismo conobbe una breve diffusione in ambienti neoterici come il circolo di Messalla Corvino, che si opponeva ad Augusto. Successivamente si impose lo stoicismo, soprattutto grazie a Seneca, che propugnò il rigore morale e il senso del dovere, anziché una vita ritirata e distaccata dalle cose pratiche, tipici dell’epicureismo. Nello stesso tempo si diffuse il Cristianesimo. Seneca conobbe il declino della libera vita politica. Egli invitò Nerone con la sua opera “De clementia” ad assumere un ruolo di monarca filantropo nei confronti dei filosofi ma di fronte al dispotismo dell’imperatore rinunciò ad ogni tentativo di educazione filosofica. Dello stoicismo Seneca condivise i temi della razionalità universale che è nella natura e in Dio, della felicità del saggio che segue la ragione, del cosmopolitismo che affratella gli uomini e del saggio autosufficiente e libero. Tuttavia la presenza della moltitudine di stolti rende difficile ogni progresso della vita civile e morale. Il ruolo della filosofia è quello di pedagogia dell’uomo incentrata su nobili ideali della libertà interiore che dà felicità e di educazione del genere umano. Per Seneca la schiavitù è un’istituzione priva di ogni base giuridica, naturale e razionale. Per questo gli schiavi vanno trattati come tutti gli altri esseri umani. Inoltre esiste un’altra schiavitù dell’uomo che è quella che lo lega alle passioni e ai vizi. Il suicidio è l’ultima scelta libera quando i contrasti tra la libertà del filosofo e l’irrazionalità della vita si rendono insanabili. Epitteto fu un liberto romano che riprese il sentimento di interiorità e quello religioso di Seneca presenti nello stoicismo. Epitteto fondò una scuola di filosofia a Nicopoli dopo essere stato cacciato da Roma. Al centro della sua filosofia c’è la distinzione tra le cose che sono in nostro potere e quelle che non lo sono. Tra le prime ci sono: l’opinione, i moti dell’animo, appetizione, l’avversione. Tra le seconde ci sono i beni esterni che, proprio perché non sono in nostro potere, è inutile cercarli sia perché sono corruttibili e contingenti, sia perché per ottenerli ci si dovrebbe sottomettere al potere di chi li detiene perdendo così il bene supremo dell’uomo: la libertà.
Bibliografia: PERONE-FERRETTI-CIANCIO “STORIA DEL PENSIERO FILOSOFICO”