Lipsia, 1 luglio 1646 - 14 novembre 1716, Hannover, Germania
Il filosofo supera i limiti della ragione cartesiana e spinoziana con una teoria della ragione che rende compatibile il metodo deduttivo e l’empirismo, comprende il meccanicismo all’interno del finalismo, il
materialismo all’interno dello spiritualismo, salvando l’individualità senza perdere l’universalità, la libertà senza perdere l’ordine e assicura l’autonomia della Natura pur subordinandola alla Grazia. La nuova metafisica è fondata sulla sua teoria della ragione.
Leibniz concepisce il progetto filosofico di una “mathesis universalis” cioè di un simbolismo universale del sapere che coinvolge la molteplicità del reale e delle sue forme e che si sostanzia in una logica che corrisponde alla matematica.
Per Leibniz si ha un’affermazione vera quando si determina fra i suoi elementi una relazione logicamente necessaria, che può assumere due forme fondate sui seguenti principi:
1) Principio di non contraddizione, in base al quale si evidenziano le verità di ragione, cioè verità consistenti in giudizio in cui il predicato è necessariamente implicato dal soggetto.
2) Principio di ragion sufficiente, che inserisce le verità di fatto, cioè verità contingenti o di esperienza, il cui opposto è possibile considerare lecito.
Riguardo al problema della conoscenza, essa scaturisce dallo sviluppo dell’intelletto e, in opposizione a Locke, egli ammette l’innatismo della conoscenza, cioè l’esistenza di idee innate nell’uomo, come ad esempio l’idea di anima, che è presente nell’uomo a livello potenziale. I gradi del processo conoscitivo sono la semplice percezione, che corrisponde alla sensibilità, ed è apprensione incosciente dei dati per poi passare all’appercezione, che è la coscienza delle percezioni, attraverso la quale si passa dall’oscurità alla chiarezza dell’intelletto.
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