Il
dualismo spirito-corpo, inteso come contrapposizione tra ciò che è
sensibile e ciò che è immateriale, tra ciò che si corrompe e ciò che
è incorruttibile, tra ciò che è impuro e ciò che è puro, perde la
ragione di esistere se poniamo l’attenzione all’escatologia dello
spirito, cioè alla mèta finale del suo divenire. Innanzitutto definiamo
lo spirito come ente autonomo dotato di potenzialità di azione sul
creato. Per corpo si potrebbe intendere l’involucro, la
cella(leggi S.Francesco di Assisi), che funge da strumento
che lo spirito utilizza per realizzare atti volitivi. Se ammettessimo la
purezza e la perfezione come elementi tipici dello spirito ab origine e
non come punto di arrivo, verremmo a negare la ratio dell’incarnazione
dello spirito stesso. Nulla è disposto senza motivo dalla volontà di
Dio. Così l’abbandono dello stato disincarnato da parte dello spirito
deve trovare un fondamento logico. Il corpo è ciò che si trasforma e
muore; lo spirito è tutto ciò che si trasforma e che non muore ma che
modifica semplicemente il suo status. Quindi lo stato corporeo è solo una
fase della vita dello spirito, breve ed irripetibile nello stato
disincarnato. Lo spirito può, attraverso l’esperienza compiuta dagli
organi del corpo, assicurarsi un bagaglio di conoscenze che si traducono
nel raggiungimento di un sempre più alto grado di benessere. L'
esperienza corporea e la conoscenza da questa derivata sono gli elementi
che giustificano la necessità dell’incarnazione dello spirito e che
fanno del corpo un imprescindibile strumento utilizzato per il
raggiungimento della purezza e della perfezione.
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