Salve a tutti, sono Romina. In qualità di
studentessa del liceo Gandhi, ma soprattutto in qualità di spettatrice che
contempla un'opera d'arte, mi sono sentita in obbligo di esprimere ciò che il
quadro del nostro Preside Viscione è riuscito a comunicarmi, perché penso,
anzi no, credo, che quei segni, quei colori, quegli occhi non debbano rimanere
sigillati nelle mie impressioni. L'opera d'arte deve scuotere, ed è con molto
piacere che, ringraziando di cuore la Prof.ssa Miceli, mi appresto a scrivere i
frutti di questa scossa! Qui dedit hodie, cras si volet auferet...Mors
extrema linea rerum est. ( Orazio, Epist. 1,16 v. 33, 79). Gli occhi... Quelli
sono occhi che perseguitano. Avverto una strana sensazione di disagio, di
sgomento. Quel nero così certo e netto mi mette paura. Tra il buio e la luce
c'è una linea, uina sola linea, la linea estrema delle cose. E lui, quel volto,
è lì; sta per essere ingoiato, c'è una nebbia appena percettibile che lo sta
chiamando, lo tira a sé, verso quell'alone oscuro che sembra stia già
prendendo la sua forma. E mentre tutto scorre, quegli occhi sono fermi nel
tempo, sono persi nell'eternità, come se non avessero mai avuto bisogno di
vivere... Ecco il limen; che subdola contemplazione è questa... Può l'arte
arrivare fino a ciò? Può quella sofferenza che si chiama arte avere un sentore
così inquietante dell' Universale? E allora, dov'è il confine? Gli occhi.
Quella è anima, quei tratti negri hanno legato il corpo, accennato
e sbiadito nella nebbia, con qualcosa che va oltre, con quel qualcosa che
nessuno sa dove sia... Ora sono soli, e non guardano semplicemente: perforano la
tela dei giorni e delle ore e sono terribili, sì, terribili... Cosa vogliano da
me, non lo so... Ma mi mettono paura, mi conducono fuori, e non so pensare
oltre... Sto osservando l'eternità, qual'è il senso? Sto cercando di
imprigionarla in vani segni neri perché non mi faccia del male ma non ci sta,
su un foglio non ci sta... Quei segni neri non saranno mai neri come quegli
occhi. A Presto!
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