Il
corpo, sottoposto alla prova dolorosa del martirio, è strumento di
elevazione dello spirito e di riscatto da tutte le impurità che
provengono dall’esercizio del peccato. Tertulliano ritiene che "la
carne debba essere sottomessa allo spirito", che molti hanno
sopportato morti atroci con animo sereno e che anzi "le hanno
addirittura cercate di loro iniziativa per amore di fama e di
gloria". E’ tra questi , senza alcun dubbio, il vescovo cattolico
di Telsiai (Lituania) Vincentas Borisevicius, torturato ed ucciso dal KGB
nel 1947. Il vescovo, come riferisce la compaesana Nijole Sadunaite,
dissidente cattolica deportata nei gulag sovietici, pregava per ottenere
il privilegio del martirio. Si tratta dunque di un’offerta volontaria
del proprio corpo quale "agnello sacrificale", ad immagine
palese del sacrificio sulla croce di Cristo. Il corpo martirizzato è
dunque veicolo di co-redenzione, di assunzione compartecipe, mediante
espiazione, del potere di recare conforto e sollievo all’umanità che
giace sotto il gioco del peccato. Così il corpo si fa strumento di amore
supremo, come già Cristo ha rivelato agli apostoli, dichiarando che non c’è
amore più grande del sacrificio della vita fatto per il bene dei propri
fratelli. E’ comunque da rilevare che è l’amore l’unica vera
discriminante tra martirio cristiano ed il martirio dei kamikaze islamici.
In questo ultimo caso il sacrificio della vita è veicolo di violenza e
peccato, frutto solo di odio verso i propri nemici. Il martirio cristiano
è invece un atto d’amore verso il prossimo e solo esso giova allo
spirito, in termini di emancipazione verso la vivibilità delle leggi
divine e, in ultima analisi, verso l’assunzione dei meriti per l’ottenimento
della vita eterna.
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