Chi sono io, chi siamo noi, chi sono gli altri?
Sono domande che ci siamo posti, a livello conscio o inconscio, almeno una volta nella vita.
Nella fase dell’infanzia-adolescenza il noi, rappresentato dalla famiglia e dai compagni di giochi, è importante per la crescita e la formazione della personalità.
L’io, individuo in formazione, inizia a confrontarsi con gli altri, il mondo esterno, il “poco noto” che potrebbe riservare rischi e pericoli. L’io ha bisogno della protezione del noi ed acquisire esperienza.
In età adulta l’io, raggiunta la consapevolezza dell’essere come individuo, frutto delle scelte personali e dell’ambiente in cui ci si è formati, affronta gli altri con più autonomia e libertà. Il rischio in cui si corre è quello in cui l’io prevale sul noi e sugli altri con la falsa convinzione che si possa vivere senza bisogno degli altri essendo autosufficienti per tutto e sempre.
Ciò può portare a condizioni patologiche di onnipotenza o all’opposto di isolamento per paura degli altri.
La squadra di calcio è una metafora della vita sociale: l’allenatore deve fare in modo che tanti io cioè giocatori bravi individualmente, possano formare un noi cioè un collettivo valido per affrontare bene gli altri cioè la squadra avversaria nel rispetto delle regole del gioco. II giocatore che viene isolato dai compagni, per esempio un attaccante che non riceve mai un pallone da tirare in porta, viene “sconfitto” a livello personale ma ciò si proietta su tutta la squadra cioè sul noi.
L’importanza del noi e degli altri si eleva all’ennesima potenza nei movimenti politici, studenteschi e di problematiche sociali. Portare avanti un’idea, una protesta necessita il supporto del noi che si estende agli altri.
Il rapporto io-noi-gli altri è usato anche dal mobbing nel mondo del lavoro dove la risorsa viene isolata dal “cattivo allenatore” a discapito della persona e del progetto stesso.
La globalizzazione si sta dirigendo verso la creazione di una entità unica, un “uno” che tende ad annullare la differenza tra io, noi e gli altri proponendo delle regole universali che si basano sul profitto.
La sfida dell’uomo del XXI secolo sarà quella di non dimenticare che l’io ha bisogno del noi e degli altri per il benessere proprio e dell’umanità.
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