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ISTESS di Terni-Narni-Amelia
Istituto di Istruzione superiore "Gandhi"di Narni
Istituto di Istruzione superiore "Assunzione" di Roma
"Il corpo e le sue rappresentazioni artistiche nei contesti culturali della storia umana"
Lavoro di ricerca degli studenti coordinati dalla prof.ssa Arcangela Miceli
Palazzo Gazzoli - 4 marzo 2004
Premessa.
Il titolo di questo intervento è stato stilato tenendo conto che il tipo di rappresentazioni utilizzate si riferiscono soltanto alla cultura occidentale per il fatto che i programmi scolastici di filosofia, di storia e di storia dell’arte ad essa fanno esplicito riferimento. In realtà sarebbe stato necessario e doveroso trattare l’arte e la filosofia orientale, ma ciò avrebbe presupposto competenze molto specifiche e una preparazione che né i ragazzi né chi li coordina e segue possiede. Il dialogo tra le culture è peraltro implicitamente presente nel Seminario filosofico di quest’anno, anche se riguarda in modo più esplicito un solo incontro e una sola cultura, quella indiana I limiti, riconosciuti e dichiarati, che si frappongono tra le buone intenzionalità e la realizzazione di un qualsiasi progetto bastano da soli a chiedere indulgenza e comprensione. L’intento di stimolare curiosità, approfondimenti e ampliamenti rimane comunque uno degli obiettivi che ci siamo posti. Il percorso tematico non intende proporsi né come un itinerario di tipo storico-artistico né tantomeno di tipo storico-filosofico. Vuole, invece, essere un excursus che, movendo dalla rappresentazione della corporeità, cerca di collegarla con la riflessione filosofica utilizzando ogni possibile suggestione, raffronto , analogia, corrispondenza e relazione filosofica letterarie e artistiche. In tal modo si è tentato di rendere esplicito ciò che esprime l’immagine e che rinvia al concetto per rendendolo più facilmente fruibile. L’individuazione delle opere ha sempre tenuto conto delle proposte e decisioni dei ragazzi, considerando la loro capacità di intuizione, l’immediatezza del messaggio, filtrata dalla loro sensibilità ed esperienza e sostenuta e motivata dalla guida degli insegnanti. La trattazione è stata affrontata , là dove è stato possibile, nel rispetto della sincronicità ma si è dato spazio in genere, evitando forzature, anche alla diacronicità, pur nel rispetto della continuità dei significati, e, in alcuni casi, alla pluridisciplinarità. Nella scelta delle immagini e del loro valore simbolico, inoltre, si è utilizzato un criterio generale che è sintetizzabile da questi interrogativi "filosofici": Quale è il valore dell’assenza del corpo rappresentato ? Quale è il valore della presenza del corpo rappresentato ? Quali sono le correnti filosofiche e culturali e/o i filosofi dei quali l’immagine può rappresentare il paradigma concettuale ? Quale valenza simbolica, al di là del significato estetico, assume l’uso del corpo nella comunicazione iconografica ? Quale valenza simbolica, al di là del significato iconografico, assume l’immagine corporea come rappresentazione dell’immaginario collettivo ? Il percorso di analisi che i ragazzi presenteranno è stato, per comodità, suddiviso nei seguenti segmenti cronologici (ai quali corrisponde l’istituto scolastico che, per le ragioni di seguito espresse, era più adatto a trattarlo).
Il mondo greco, romano e bizantino.
Il lavoro, seguito dalla prof.ssa D’Ulizia, è stato svolto da alcuni alunni del Liceo classico di Terni, in quanto nei programmi di questo istituto la conoscenza del mondo classico è supportata da una serie di discipline afferenti a quelle filosofiche che consentono di avere un quadro completo e ricco della cultura dell’ occidente classico. Il taglio è filosofico-artistico. Il mondo medievale, il 500 e il 600. La ricerca, veicolata dalla prof.ssa Miceli con la collaborazione dei docenti, Ammanniti, Molinari, Perazzini, Purini e Silvani, è stata curata dagli alunni del triennio dell’Istituto Gandhi di Narni dal momento che i programmi di filosofia, di storia e di storia dell’arte hanno momenti di forte "intersezione" concettuale; spesso, infatti, il loro uso parallelo, costituisce un rinforzo nell’assimilazione dei nodi significativi che connotano le grandi trasformazioni culturali dei periodi che vanno dall’XI al XVII secolo. Il carattere prevalente è di tipo filosofico-letterario-artistico. Il "secolo dei lumi", che ha rappresentato per l’Europa del ‘700 un periodo di radicale mutamento, è stato affrontato solo come raccordo tra gli ultimi due segmenti, con riferimento a quegli autori che di questo cambiamento ne erano stati, per così dire, o i precursori o i portatori. L’800 e il ‘900. La trattazione di questi due periodi storici - per la complessità e articolazione delle tematiche, perché in genere nei programmi Brocca la cultura del ‘900 è sempre presente in molte discipline, perché nei Licei socio-psico-pedagogici accanto alla filosofia e alla storia dell’arte vengono studiate discipline quali la psicologia e la sociologia – è stata affidata a gruppi di allievi del Liceo delle scienze sociali "Angeloni" di Terni coordinati dalla prof.ssa Bravi e dell’Istituto d’arte di Orvieto seguiti dal prof. Giacoppo. Il taglio interpretativo è di tipo filosofico-artistico-antropologico, curato da due punti diversi di osservazione. Infatti sia l’Istituto Angeloni che l’Istituto d’arte hanno seguito un analogo percorso cronologico ma lo hanno "letto" in una doppia chiave interpretativa: a prevalente carattere psicologico il primo, con un approccio marcatamente artistico il secondo. ( Arcangela Miceli e Carla Arconte) Gruppo di lavoro Coordinamento e realizzazione tecnica: Arcangela Miceli Docenti: Carla Arconte, Antonella Bravi, Serenella Cecchetti, Marisa D’Ulizia, Maria Molé. Alunni:Primo segmento (Liceo classico): Battaglini Federica, Granaroli Pierluigi, Ruggeri Francesca Secondo segmento: ( Istituto Gandhi) classi terze: Greta .Flamini, Raffaella Fiorentino, Francesca Pettorossi ; Lavinia Cenci, Virginia Rossi. Classi IV Emanuela Benedetti, Fabrizio Bonifazi, Francesco Coppo, Alessandra Catalucci, Alessandro Carducci, Linda Leonardi, Leonardo Porcacchia, Nicola Proietti, Fabrizio Testarella; Claudia Cinaglia; Giacomo Petrarca, Arianna Galeazzi, Romina Rossi, Elisa Cesaroni; Francesca Braga. Terzo segmento A (Istituto Angeloni) Bacaro Francesco, Tozzi Cinzia, Villano Leonardo, Zannori Chiara Terzo segmento B (Istituto d’arte ) Cintio Alice, Peterson Tashina, Shkreli Dorina, Valentini Elena Si ringraziano sentitamente: Il Dirigente scolastico Giulio Viscione per la sua disponibilità e per i preziosi consigli che ci ha fornito; La professoressa Parisi Stefania, presidente dell’ISTESS; I tecnici Fausto Sannipoli e Eros Minciarelli

Il mondo greco, romano e bizantino

1 A - Corpo ideale e corpo empirico

1 A 1 - Il Doriforo di Policleto
Nella filosofia greca sono ravvisabili due concezioni del corpo fortemente differenziate: l'una di ascendenza platonica, l'altra di ascendenza aristotelica, entrambe ben presenti, in forma più o meno esplicita, nell'arte greca di età classica o di età ellenistica. La prima è caratterizzata da un deciso disprezzo del corpo: tomba e carcere dell'anima, impaccio corrotto e dolente, il corpo è radicalmente eterogeneo rispetto all'anima In questa prospettiva la morte stessa, in quanto fuga dal corpo, appare come un evento ontologicamente auspicabile e la filosofia si configura come preparazione alla morte. Scrive Platone nel Fedone: La carne ci invade con i suoi umori, incanti, tremori, la sua folla di fantasie, di bolle d'aria, e finisce che si realizza il detto, pienamente, che a causa sua si introduce in noi, ostinata e continua, la negazione del pensare (...). Se vogliamo avere una buona volta lo sguardo limpido su qualcosa dobbiamo staccarci dal corpo e con lei, l'anima sola, individuare il nocciolo puro della realtà. E sono certo che solo in un periodo potremo avere ciò che desideriamo e di cui siamo innamorati: ed è il tempo della morte, non della vita. [Fedone, XI] Quel po' di realtà che al corpo può essere riconosciuta sta nell'essere la copia mutevole e imperfetta di un modello immutabile e perfetto che giace nel mondo iperuranico. La traduzione iconografica di una simile concezione del corpo potrebbe essere ravvisata nel Doriforo (portatore di lancia) di Policleto. Sappiamo dalle fonti che Policleto poneva al centro della propria attività il problema della proporzioni e in particolare quello del rithmos, cioè del miglior rapporto possibile tra le singole membra e l'intero in modo che la forma del corpo fosse disciplinata da una fittissima rete di relazioni numeriche, definite sulla base di una concezione speculativa e non tecnica. Per questo scrisse il Canone, un trattato in cui precisava caso per caso quale fosse il miglior rapporto proporzionale per determinare la relazione della parte con il tutto. In tal modo la variabilità del corpo empirico veniva riassorbita e fissata nel corpo ideale e la pluralità disordinata e mutevole delle copie composta e superata nell'unico modello. Siamo di fronte non ad un corpo umano ma al modello di ogni corpo umano così come, secondo Platone, potremmo contemplarlo nel mondo al di là del cielo, quando fossimo liberati dall'impaccio del corpo empirico, che di quel modello è la copia corrotta. 1 A 2 - L'Apoxyomenos di Lisippo Ben diversa è la struttura dell'Apoxyomenos (l'atleta che si deterge) di Lisippo, una sorta di manifesto dell'Ellenismo nascente, nel quale è possibile vedere un riflesso della concezione aristotelica del corpo. Secondo Aristotele il corpo e l'anima sono aspetti di un'unica sostanza; ogni sostanza individuale è sinolo, unità di materia (o potenza) e di forma (o atto). In quanto materia o potenzialità il corpo serve all'anima da strumento ma, a differenza degli strumenti inanimati, scrive Aristotele nel De anima, ha in sé il principio del moto e della quiete. E aggiunge: ogni corpo che partecipa della vita sarà sostanza, e precisamente sostanza nel senso di sostanza composta. E poiché si tratta di un corpo con una determinata qualità, e cioè partecipe della vita, il corpo non sarà l' anima, perché il corpo non rientra negli attributi di un soggetto ma è piuttosto sostrato, cioè materia. In tal modo il corpo, organicamente legato all'anima, acquisisce quella dignità ontologica che il platonismo gli aveva costantemente negato, pur collocandosi nella mobilità del mondo empirico e non nella fissità di quello iperuranico. Lisippo dovette contrapporre consapevolmente il suo atleta al Doriforo di Policleto. La statua rappresenta un giovane nudo nell'atto di raschiare dalla pelle con lo strigile la particolare mistura di olio e di sabbia con la quale gli atleti si cospargevano il corpo dopo gli esercizi per asciugare il sudore. La figura si protende nello spazio con audacia, strutturandosi in una posa che viola alcune delle regole del Canone. Per la prima volta in una statua greca le braccia si trovano davanti al busto e ne impediscono la visione, quasi che il centro compositivo privilegiato da Policleto, il tronco, non meritasse, per Lisippo, che il secondo piano e l'attenzione dovesse andare tutta al movimento del corpo, che è il vero soggetto. La lieve torsione che deriva dalla posizione delle braccia spezza irrimediabilmente la razionalità del modello policleteo: i volumi e i pesi non sono più distribuiti con simmetria intorno all'asse mediano. Non a caso Lisippo, come Aristotele, si colloca al confine tra due mondi, quello classico e quello ellenistico, e partecipa di entrambi.. Non condivide più il senso di sicurezza e di stabilità che la posa del Doriforo lasciava trasparire: il suo atleta è inquieto, non potrà compiere per sempre quel gesto che appartiene ad un istante qualsiasi della sua vita, vissuto e subito dimenticato. Il corpo umano, meno compatto e possente, più flessibile e dinamico, allude ad una civiltà che, nel tramonto della Polis, non sente più il bisogno di giovani guerrieri e che è sensibile alle passioni individuali e mutevoli piuttosto che ai paradigmi universali ed eterni.

1.B La precarietà della condizione umana

1 B 1 - il Pugile in riposoI profondi mutamenti socio-politici dell'età ellenistica matura impongono un ulteriore, radicale ripensamento del modo di intendere e rappresentare il corpo umano. Il mondo appare ormai disordinato ed ostile e l'uomo contrassegnato da una condizione di debolezza e sofferenza. In una testimonianza relativa alla dottrina epicurea si legge: Lamentano che l'uomo nasca di gran lunga più debole e fragile degli altri animali,(...), l'uomo è gettato abbandonato alle miserie della vita, nudo e inerme, come da un naufragio, e non può muoversi dal luogo dove è stato deposto, né ricercare da sé il latte che è il suo primo alimento, né sopportare le inclemenze del tempo. Dunque la natura,(...) non è stata per il genere umano una madre ma una matrigna, avendo partorito l'uomo in modo tale che questi, debole e infermo e privo di per sé di ogni soccorso, non può far altro che scongiurare la precarietà della sua condizione con pianti e lamenti Alla filosofia non rimane che un compito terapeutico e consolatorio. Non a caso, nel linguaggio dell'arte figurativa, alla ricerca della perfezione ideale si sostituisce un atteggiamento realistico che vuol cogliere il mondo così com'è, senza fermarsi neppure di fronte agli aspetti più desolanti e crudeli E' questo il caso del pugile in riposo, di autore ignoto. Lontanissimo dai consueti atleti vincitori, questo pugile non più giovane si è lasciato cadere spossato e si appoggia con entrambe le braccia alle ginocchia, le mani ancora avvolte dalle tipiche cinghie di cuoio(...) Il corpo è segnato da tagli e ferite, sottolineati con crudele fedeltà da inserti di rame ribattuti nella superficie del bronzo. [AA.VV. I luoghi dell'arte, Milano 2002, pag.202] Una simile figura evoca con efficacia il drammatico divario tra le aspirazioni e i risultati e l'amarezza della sconfitta che vanifica lunghi sacrifici, lasciando ferite difficili a rimarginarsi, tanto nel corpo che nello spirito.

1.C Il corpo del potere

1 C 1 - Augusto loricato (detto anche Augusto di Prima Porta) L'arte romana si rifà a quella ellenistica ma la svuota, almeno in parte, della sua finezza intellettuale e del suo slancio patetico, piegandola ad una produzione ripetitiva e fortemente ideologizzata: è infatti prevalentemente strumento di propaganda dello Stato e di autocelebrazione pubblica del singolo. La legittimazione del potere trova in Roma uno strumento efficace nella filosofia stoica. Contrassegnato da istanze giusnaturalistiche e cosmopolitiche, lo stoicismo insegna che la ragione è la sostanza del mondo e che ad essa debbono conformarsi tanto gli individui quanto le comunità A colui che, emancipandosi dalle passioni, fa uso della ragione spetta dunque l'esercizio del potere. Scrive Cicerone [De legibus, I, 7, 22-23]: "Poiché nulla è superiore alla ragione, e questa si trova nell'uomo e nella divinità, la prima associazione tra uomo e divinità è quella che proviene dalla comune ragione. Ma quelli fra cui è comune la ragione hanno anche comunanza di retta ragione, e poiché quest'ultima si identifica con la legge, ecco che noi uomini siamo associati con gli dei per mezzo della legge. Ma fra quelli tra i quali vige una comunanza di legge vige anche una comunanza di diritto; e quelli cui sono comuni queste cose hanno anche tra loro comunanza di città, tanto più se obbediscono allo stesso comando, allo stesso potere. Essi in realtà obbediscono a questo nostro ordine celeste, e all'intelligenza divina, e alla divinità che ha potere superiore, sì che tutto questo nostro universo può essere considerato una sola e comune città degli dei e degli uomini". La tesi stoica del diritto universale, ripresa da Cicerone, conduce alla concezione romana dello Stato: la legge universale si incarna in un gruppo di uomini sapienti o anche in uno soltanto cui compete il dovere perfetto di governare con equilibrio. E' la politica di Augusto, princeps, primo fra tutti, non a causa della forza ma per autorità morale e razionale. Ed è questo il principio che Augusto chiede che venga espresso dall'arte del suo tempo. Il nucleo del messaggio propagandistico della statua è affidato alla composizione allegorica che orna la corazza o lorìca. AI centro del campo il re dei Parti restituisce le insegne romane sottratte molti anni prima a Crasso, sconfitto a Carre (53 a.C.); a riceverle è un condottiero che potrebbe anche essere il dio Marte. In alto, sotto la volta del Cielo, il Sole conduce il suo carro e la Luna fa spazio ad Aurora, intenta a versare gocce di rugiada da un'anfora. In basso la Terra, con una cornucopia ricolma di frutti, tiene in grembo due bambini. Completano la scena le personificazioni dei popoli d'Occidente e d'Oriente sottomessi a Roma e, più in basso, le divinità protettrici di Augusto, Apollo e Diana. La vittoria sui Parti è dunque collocata in uno scenario cosmico, nel quale l'imperatore appare come l'esecutore di una volontà divina che conferisce alle sue imprese un risalto e una dignità assolutamente sovrumani.

1.D Il corpo nella società dei santi

1 D 1 - Il mosaico absidale di Santa Pudenziana Il mosaico absidale di Santa Pudenziana, pur riassumendo con efficacia le istanze simboliche e didascaliche della prima arte cristiana, rimane ancora legato al naturalismo della tradizione ellenistica: il corpo di Cristo, plasticamente rivestito di abili regali, si accampa al centro sul trono gemmato che domina la schiera degli apostoli. Tutti i corpi umani che si inseriscono nella complessa composizione hanno spessore e densità, a conferma che non sull'immortalità dell'anima, finalmente emancipata dal corpo, secondo lo schema platonico, ma sulla resurrezione dei morti puntava il cristianesimo primitivo, legato alla concezione ebraica dell'unità psicofisica inscindibile dell'uomo e disposto quindi a riconoscere al corpo un'inedita consistenza ontologica. Sullo sfondo, in fuga prospettica, le due Chiese: quella degli ebrei e quella dei gentili, poste su un piano perfettamente paritetico, ad indicare il ruolo della famiglia di Dio nel mondo. Costituiscono entrambe la Gerusalemme celeste, che negli stessi anni Agostino andava illustrando nel De civitate Dei, sia pur con sensibilità diversa, perché incline ad assumere, in virtù della sua formazione platonizzante e dell'esperienza manichea, proprio quella contrapposizione tra Città celeste e Città terrena che l'anonimo mosaicista di Santa Pudenziana aveva serenamente ignorato. Scrive Agostino: Chiamiamo Città di Dio quella di cui parla la Scrittura, che ha sottomesso a sé ogni genere d'umano ingegno, e non per casuali movimenti degli animi ma per la suprema disposizione della Provvidenza, elevandosi con la sua divina autorità al di sopra di ogni letteratura umana(...). Abbiamo appreso che esiste una Città di Dio di cui ci fa ardentemente desiderare di essere cittadini quell'amore che ha ispirato il suo fondatore. In questa città non c'è sapienza umana all'infuori della pietà, che fa adorare giustamente il vero Dio e che attende come ricompensa nella società di santi, uomini e angeli, che Dio sia tutto in tutti.
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