Sono filosofi dell’Antica Grecia che negano l’esistenza di una verità
assoluta, quale fondamento dell’essere e credono nell’impossibilità
di trasmettere il sapere al di fuori di una tecnica di linguaggio, volta
al far prevalere la propria opinione su quella altrui. Per Protagora, nato
ad Abdera nel 486 a.C. circa e morto nel 410 a.C., esiste una
contrapposizione tra esperienza e ragione, la quale ha un carattere
illusorio rispetto al predominio dei fenomeni tangibili. A lui si
attribuisce la seguente sentenza: “L’uomo è misura di tutte le cose,
di quelle che sono perché sono e di quelle che non sono perché non sono”.
Per il sofista Gorgia, nato a Lentini (Sicilia) nel 483 a.C. circa e morto
a Larissa (Tessaglia) nel 380 a.C. circa, la suddetta antitesi comporta l’impossibilità
dell’esistenza dell’essere uno e ingenerato, poiché esso non può
sottostare a determinazioni spaziali secondo le quali si rilevano le cose
dell’esperienza. Inoltre, anche se si ammettesse che qualcosa esiste, di
esso non è possibile dare una conoscenza assoluta e inconfutabile.
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